INALMENTE LA RIFORMA DELLA RAI! ANGELO GUGLIELMI-STEFANO BALASSONE BOMPIANI (158 PP., 11 EURO) I mali del sistema televisivo italiano vengono da lontano. Dall'assenza di visione strategica dei governi, dallo sviluppo anarchico del mercato, dall'ingordigia dei partiti incapaci di mettere un argine alla propria invadenza. Negli anni le storture sono cresciute provocando una debolezza ormai cronica dell'apparato produttivo dell'audiovisivo, con un ricorso crescente alle produzioni estere e una ridondanza delle reti generaliste che ha drenato risorse in maniera tutt'altro che funzionale alla crescita qualitativa dell'offerta.
Angelo Guglielmi e Stefano Balassone, menti della Rai3 degli anni 1987-1994 che lasciò un segno indelebile nella storia della tv italiana, individuano i punti deboli dell'industria che ruota intorno al piccolo schermo e delineano possibili vie d'uscita nel breve saggio 'Finalmente la riforma della Rai!'. Quel 'finalmente' richiama alla mente i tentativi finora mai riusciti di mettere mano alla legge Gasparri, che anche il governo Renzi ha promesso di modificare con un ambizioso progetto di intervento a tutto campo che si ispira al modello Bbc. Gli autori avanzano ipotesi di riforma, ma partono da un presupposto: l'intervento non può riguardare solo la Rai, ma per essere efficace e risolutivo deve comprendere tutto il sistema delle frequenze, la mission delle varie realtà industriali, le tv locali.
Insomma deve ridare un senso complessivo al sistema. Il vulnus nasce da lontano come frutto delle logiche spartitorie dei partiti, ma il quadro italiano, a differenza di paesi come Francia e Inghilterra dove ha prevalso la logica di sistema, non ha tratto giovamento dall'avvento dei soggetti privati negli anni Settanta. L'arrivo di Mediaset più che portare nuova linfa, si è tradotto in "un colpo di mano politico-affaristico che non ha creato ricchezza, facendo terra bruciata di industrie esistenti e di possibili industrie a venire". Pur avendo determinato, in qualche modo, una rinnovata vivacità della programmazione Rai, non ha affatto accresciuto la capacità produttiva e creativa del Paese, ma ha anzi soffocato nella culla progetti come quello di Colaninno per La7.
E' quindi prioritario, secondo gli autori, correggere le storture del passato, ma anche guardare avanti verso l'affermazione di una industria dell'audiovisivo, diventata multimediale e multipiattaforma. La riforma non può non passare dalla rivisitazione del perimetro del servizio pubblico. Diverse sono le soluzioni possibili e gli autori ne elencano alcune rifacendosi ai modelli inglese e francese, ma sottolineano un aspetto come imprescindibile: la riduzione del numero delle reti generaliste, la cui sovrabbondanza (ben 7 in Italia contro le 3 di Inghilterra e le 4 della Francia) ha rappresentato "non solo un inutile spreco di risorse, ma anche l'impoverimento dell'offerta conseguente alla sua dispersione".
Occorre quindi approfittare della scadenza della convenzione tra Stato e Rai del 2016 per rivedere tutto, ponendo non solo un argine all'ipertrofia delle reti generaliste, ma anche all'incapacità di Rai e Mediaset di reperire risorse al di fuori di pubblicità e canone e al disinteresse ad investire dell'imprenditoria. Eccolo uno dei punti cardine dell'analisi di Guglielmi e Balassone: occorre aprire un tavolo con gli imprenditori, comprendere le loro esigenze e spingerli finalmente a investire nel prodotto. "Ma questo compito - scrivono - richiede un capitalismo di grandi visioni e che da noi esista è da dimostrare".
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