Il gioco d’azzardo patologico è ora considerato e studiato come una vera e propria dipendenza comportamentale. Una dipendenza che porta con sé un corteo di conseguenze drammatiche: crisi coniugali, divorzi, figli costretti a diventare adulti prima del tempo, difficoltà economiche, debiti, usura, assenze dal lavoro, rischi per la sicurezza, attività illegali, compromissione della salute. Non abbiamo solamente i malati di gioco ma tutte le persone che girano intorno a loro e hanno disperatamente bisogno di aiuto per gestire una situazione esplosiva».
Purtroppo in questo tunnel tante persone, ne sono dentro fino al collo, è le ultime statistiche parlano chiaro di dicono che è piena emergenza.
Siamo davanti a un male sociale che non solo rischia di distruggere intere famiglie e le future generazioni, ma ha il potenziale di distruggere l’intero tessuto sociale di un paese, portandolo ai limiti del collasso e di affossarne definitivamente l’economia.
Che facciamo? Stiamo a guardare? Facciamo solo prediche e conferenze? Questa volta non credo che bastino.
Occorre un patto sociale di recupero e reintegrazione delle vittime di questa dipendenza. Solo unendo le forze e senza pensare ai colori e alle bandiere si potrà sconfiggere questo male”.
Enzo Caruso
Un problema sociale affrontato già in passato, da tante persone ad esempio nel marzo del 2015, il corriere.it scriveva quali erano le strade da seguire:
Gli interventi possibili
Anche se non esistono Linee guida nazionali sui percorsi di trattamento, i Servizi pubblici meglio organizzati mettono a disposizione una serie di interventi multi-professionali e integrati che coinvolgono anche la famiglia. Un programma-tipo può prevedere un eventuale ricovero, colloqui individuali, gruppi di psicoterapia, cure farmacologiche, gruppi per i familiari. Spesso vengono offerti anche un tutoraggio economico per risanare i debiti, interventi sociali per affrontare le eventuali questioni legali e socio-economiche, l’attivazione di una rete di sostegno sociale istituzionale e del volontariato. E se il primo passo verso la cura e la possibile guarigione parte sempre dal riconoscimento della malattia da parte del giocatore, le terapie ritenute oggi più efficaci sono quelle di tipo psicologico e psicoterapeutico.
«La letteratura internazionale indica la terapia cognitivo-comportamentale come la modalità più efficace di trattamento — sottolinea il professor Maurizio Fea, psichiatra responsabile dell’area Gioco d’azzardo patologico di FederSerD —. Esistono anche forme di trattamento fra giocatori e familiari, per esempio come accade nei gruppi di mutuo aiuto o anche in quelli condotti nei Servizi, che non sono esattamente il canone della terapia cognitivo-comportamentale, ma che comunque pescano molto in quel bacino».
Le terapie
E i farmaci? «Non esiste una terapia farmacologica per il gioco d’azzardo — mette in chiaro Fea —. Il gioco svolge una funziona equilibratrice rispetto allo stato dell’umore. Nel momento in cui si cerca di mettere sotto controllo questi aspetti è possibile che ci sia una recrudescenza dello stato dell’umore alterato, quindi la terapia farmacologica va a trattare gli aspetti patologici correlati, come depressione e stati d’ansia, sia in fase di gioco che di dismissione dal gioco».
La terapia cognitivo-comportamentale interviene sulla motivazione e ha come obiettivo la ricostruzione cognitiva. Aiuta cioè i pazienti a distruggere quei pensieri, quelle false aspettative su cui il giocatore costruisce in automatico il suo comportamento, per poi riportarlo alla realtà. Proprio per valutare l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale sui giocatori d’azzardo patologico, l’Università degli studi di Pavia e l’Università degli studi di Camerino stanno lavorando ad uno studio multicentrico nazionale in attesa di finanziamento.
Il progetto AMPA (Advance Multidisciplinary Project on Addiction) prevede l’arruolamento di 30 giocatori d’azzardo patologico che saranno messi a confronto con 60 tossicodipendenti (30 eroinomani e 30 cocainomani). «L’obbiettivo — racconta il professor Zanardi, coordinatore dei AMPA — è di valutare se esistano fattori in grado di “predire” una fragilità del comportamento nei tre tipi di dipendenza e quindi un abbandono della terapia da parte del paziente. Questa procedura permetterà “online” di osservare che effetti il trattamento può produrre e valutare quali caratteristiche individuali o di gruppo possano risultare fondamentali per la buona riuscita dell’intervento clinico».
Nello stesso ambito si colloca il progetto NeuroGAP, presentato la scorsa settimana, che ha come obbiettivo la creazione di una rete nazionale e istituzionale di ricerca sul “gambling” e per l’attivazione e la promozione di studi sul gioco d’azzardo nell’ambito delle neuroscienze, delle scienze del comportamento e sociali.