“La ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in
Italia”. Questo il titolo del libro presentato sabato al cineforum
comunale nel corso dell'omonimo convegno organizzato dal Comune. Ai
lavori, propedeutici alla posa di una lapide nella palestra comunale a
ricordo del poliziotto Agostino Antonino e la moglie Ida Castelluccio,
hanno partecipato, tra gli altri, Andrea Speranzoni avvocato di parte
civile in numerosi processi contro i responsabili delle stragi naziste,
Marco De Paolis, Procuratore militare della repubblica di Roma, Nicola
Musumarra e Carmelo D'Urso dell'Anpi di Catania, i reduci di Cefalonia
Nino Germana e Carmelo Benincasa , Vittorio Bevacqua e Salvatore
Mangione che hanno ricordato, attraverso la lettura di un interessante
diario di guerra,Salvatore Bevacqua, anch'egli nella divisione “Acqui”
passata per le armi a Cefalonia per non essersi voluta consegnare ai
tedeschi e Florinda Aragona dell'Istituto Salvemini di Messina.
Dopo il
saluto del Sindaco, Alessandro Pruiti, i lavori moderati da Massimo Cono
Pietro Paolo, hanno tracciato un interessante e toccante spaccato della
violenza nazifascista in Italia e partire dalla strage di Castiglione
del 1943 in Sicilia e alle distruzioni causate dai tedeschi
all'aeroporto di Biscari. “Se c'è stato un magistrato che ha girato
dall'altro lato l'armadio della vergogna ha detto il vicepresidente
della Magistratura militare di Roma Roberto Fabio Tricoli, ce nè stato
un altro che lo ha riaperto”. Interessante la spiegazione data da
Antonino Germanà sui tragici eventi conseguenti all'otto settembre del
'43 che li ha definiti conseguenza del ”Colpo di Stato” fatto in Italia
da Badoglio e la ricostruzione di quei tragici giorni. Commovente
l'intervento di Vincenzo Agostino il padre dell'agente ucciso che ha
raccontato gli ultimi attimi di vita del figlio e della nuora,
partecipando ai presenti la sua voglia di giustizia e di legalità.
Valori poi ribaditi con forza nella palestra comunale dal Sindaco che
li ha posti a base e vademecum del vivere civile e a esempio per gli
studenti dell'istituto comprensivo di Castell'Umberto presenti grazie
alla sensibilità della dirigente Rina Maria Ceraolo Spurio. A chiudere i
lavori del convegno è stato il Procuratore Marco De Paolis, che ha
ricordato con pochi ma qualificati tratti anche i criminali di guerra
italiani.Saltato infine, a causa dei tempi, sacrificati al successo
dell'iniziativa che è andata oltre le aspettative, il previsto dibattito
con il pubblico. Ed è proprio il coinvolgimento che il convegno ha
saputo creare che mi spinge a dare, oltre alla sintesi giornalistica
del resoconto degli eventi, le mie considerazioni storiche con l'intento
di aggiungere qualcosa specie all'eccidio di Castiglione.
Anche
se l'armistizio fu firmato l'8 settembre il Colpo di Stato di Badoglio
(bella definizione di quell'avvenimento che prendo in prestito da Nino
Germanà, reduce della divisione Acqui), già serpeggiava in Sicilia,
prova ne sia la resa in massa di miglia di soldati italiani, che
lasciavano scoperte le linee dell'alleato che teneva la “Linea del
Simeto”. I tedeschi di Castiglione erano della divisione Hermann
Goering, comandata da Paul Conrath. Inferiori di numero e senza
copertura aerea dopo avere conteso il terreno al nemico palmo a palmo,
divisi in due gruppi, iniziarono a ritirasi verso Messina. Il primo
gruppo(kampfgruppeConrath)lungo la via Cataia- Acireale -Adrano>;il secondo (kampfgruppeSchmalz)lungo
la direttrice -Taormina-Messina– Gela- Caltagirone-Randazzo. Fu proprio
quest'ultimo a subire la maggiori perdite specie nella zona di Randazzo
(racconta, Carmelo La Cava, caso mai c'è ne fosse bisogno, che i
tornanti, nel tratto Randazzo- Santa Domenica, erano pieni di brandelli
di carne e sangue raggrumato). A coprire la ritirata erano, spesso,
elementi della Hermann Goering votati a sicura morte. Questi soldati,
formati da qualche veterano e ragazzi di vent'anni, assolto il loro
compito,cercavano di raggiungere i compagni, laceri, privi di viveri e
mezzi di trasporto che spesso si procuravano come potevano( a volte
requisivano gli asini rilasciando anche regolare ricevuta).
Non era
infrequente però che venivano attaccati dai civili affamati in cerca di
scatolette, indumenti e scarpe.(A volte, raccontano testimoni, i civili
seguivano i feriti gravi aspettando che morissero per derubarli di
tutto). Questo il quadro generale nel quale sembra maturare la strage
di Castiglione. In particolare succede che nei dintorni di Castiglione
viene rubato un autocarro tedesco pieno di viveri e nelle campagne
vengono uccisi cinque militari tedeschi. (si sospettò a guerra finita
che i ladri fossero di un paese vicino.)
I due episodi nulla hanno a che
vedere con la lotta partigiana e sono destinati, il primo ad
alimentare il mercato nero(che è cosa diversa dal distribuire viveri
alla popolazione affamata) e il secondo nella “caccia ai tedeschi
isolati forse per ordine della mafia alleata con gli americani. Detto
questo riporto la strage con le parole di Nino Lo Monaco e Suora Amelia
Casini: “l'11 agosto entrarono a Castiglione un cingolato e quaranta granatieri con l'ordine di prendere prigionieri più civili possibile. Chi tentò di sottrarsi venne abbattuto dalle mitraglie e alcune donne accorse per difendere mariti e figli furono buttate giù dai balconi.I npoco meno di un'ora furono uccise 20 persone.Nino
Lomonaco, custode di questa memoria, ricorda però che un soldato
tedesco non denunciò un poveraccio nascosto nel soffitto e un altro
mostrò una medaglietta del battesimo e ripeté diverse volte la parola
cattolico alle madri e figlie terrorizzate,accontentandosi di un
bicchiere d'acqua prima di uscire da una casa del paese”.Successivamente
i tedeschi rastrellano 300 persone e minacciano di ucciderli: Li salva
però la mediazione di suor Amelia casini che media con il capitano
arrivato da Randazzo, da quella Randazzo tappezzata da brandelli di
carne e sangue tedeschi.
“Durante l periodo che i tedeschi si
trovavano a Castiglione, i paesani avevano ucciso cinque soldati perché
devastavano le campagne e spadroneggiavano a più non posso (sembravano
tanti signorotti),quindi, per cinque dei loro morti ne dovevano uccidere
trecento.L’interprete girava intorno al capitano con insistenza,
ripetendole stesse parole, cioè: “I colpevoli sono fuggiti”; ma il
capitano sempre più si ostinava e con le mani alzate e le dita aperte
gridava: “Cinque me ne hanno uccisi: fucilate subito,subito”: Insomma in
nessun modo si voleva piegare. Allora io sentii in me una forza
soprannaturale, feci un passo avanti di fronte al capitano, pronunciando
queste parole: “Mi offro io per loro; si...si..., io do la mia vita...
uccidetemi, date la libertà a quei poveretti”. In quel momento così
difficile non mancarono le suppliche dell’Arciprete Russo e le buone
maniere dell’ingegnere Lenza nel tradurre le nostre povere parole. Il
capitano ci guardò a lungo e dopo una breve pausa pronunciò queste
parole: Domani alle 6 sono liberi”. In quel momento erano le undici di
sera del 13.08.1943. (La decisione del capitano si può ancora
considerare quella di un alleato).
Va osservato di come fosse difficile
che si lasciasse mano libera ai soldati di “devastare le campagne”
ripetutamente anche perché la situazione sul campo imponeva sempre la
massima allerta. Fin qui Castiglione. In quanto all'aeroporto di San
Pietro (il nome Biscari fu dato dagli americani) dove i tedeschi e anche
gli italiani(Vi era stanziato il 153º Battaglione Mitraglieri ed alcune unitàt edesche della 1.Fallschirm-Panzer-Division Hermann Göring>.)
distrussero prima di ritirasi le piste e il carburante; mi viene
spontaneo pensare: dovevano forse lasciare gli aerei con il motore caldo
e carichi di bombe pronti per essere usati contro loro? Perché poi gli
americani a Biscari massacrarono 72 prigionieri italiani (di cui si
ebbe notizia 61 anni dopo) forse perché trovarono le infrastrutture
distrutte? Un po' come la rappresaglia di Castiglione?)
In merito vale
la pena di riportare, per giustizia e completezza la testimonianza di
Virginio de Reiter: “Il gruppo di De Roit finì in mezzo alla tempesta
di fuoco. I difensori si arresero. Italiani e tedeschi furono depredati
di portafogli,collanine, ciondoli, orologi, anche se di modesto valore
come il Medadi De Roit. Rimasero in mutande. Camminando a piedi nudi su
stoppie e rovi furono portati fino allo spiazzo accanto al
sughereto.Ricevettero l' ordine di scavare una fossa e di mettersi in
fila per due. Poi «Un negro dalla faccia brutta - scandisce De Roit -
impugnò il parabellum e cominciò a sparare al petto dei primi due, che
erano tedeschi. Dopo ammazzò gli altri due tedeschi. Il primo italiano a
cadere fu il caporale Luigi Giraldi di Brescia. Ne caddero tanti di
bresciani: Attilio Bonariva, Santo Monteverdi, Leone Pontara, Battista
Piardi, Gottardo Toninelli, Pietro Vaccari, Mario Zani,Celestino
Bressanini. Cadde il mio compaesano Aldo Capitanio. Caddeil bello della
compagnia, il magazziniere Angelo Fasolo di Camin, nel padovano. Cadde
Salvatore Campailla, che era un siciliano, ma faceva il postino a Nervi.
Cadde Sante Zogno di Lodi. A quel punto io urlai:"Tusi,
scapemo"(ragazzi, scappiamo). Mi lanciai verso il fiume con Silvio
Quaiotto ed Elio Bergamo di Ancona. Quelle bestie non se l' aspettavano.
Guadagnammo metri preziosi, sentimmo alle nostre spalle che in parecchi
si erano messi a sparare: abbatterono in ostri compagni, quindi vennero
a cercarci.
Noi stavamo acquattati nell' acqua. Io e Quaiotto ci
mettemmo sotto un groviglio di arbusti,mentre vidi che Bergamo aveva la
testa di fuori. Le bestie tirarono alcune sventagliate di mitra. Capii
che andavano a prendere il lanciafiamme. Mi diressi verso la riva
opposta. Non mi videro. In quanto ai criminali di guerra italiani mi
limito solo a citare due generali, Robotti e Roatta, il primo arrivò a
dire nelle sue circolari che si ammazzava troppo poco e il secondo,
condannato all'ergastolo fu fatto fuggire all'epoca dal comandante
generale dei carabinieri suo amico. Come dire l'Italia non ebbe mai il
coraggio di una sua “Norimberga”
Enzo Caputo